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domenica 27 maggio 2012

Il lato festoso del Jazz: “Dino e Franco Piana Septet" alla Casa del Jazz

Articolo di Daniela Floris
Foto di repertorio di Daniela Crevena
Il ritratto di Dino e Franco Piana è di Ettore Festa







Ogni concerto si connota di solito per un aspetto anziché un altro, e questo alla Casa del Jazz per la presentazione del nuovo cd di Dino e Franco Piana, “Septet”, con etichetta Alfamusic è stato una festa jazzistica.
Non è certamente facile, e quindi non è usuale vedere sullo stesso palco riuniti tutti insieme tanti musicisti di rilievo tutti in una volta.  Alla Casa del Jazz c’erano Dino Piana, trombonista con cinquanta anni di carriera alle spalle, carriera tutt’ altro che conclusa – suona ancora, eccome, in giro per l’ Italia, e incide, anche;  suo figlio Franco, trombettista e flicornista e validissimo arrangiatore (suoi i brani e gli arrangiamenti di “Septet”); e ancora, Roberto Gatto, produttore artistico di questo bel progetto che parla di un Jazz Italiano più vivace che mai, alla batteria; Enrico Pieranunzi, al pianoforte, nostro grande artista tra i più noti all’estero, alternatosi a Luca Mannutza, pianista oramai affermatosi tra i migliori in Italia; Fabrizio Bosso alla tromba, uno dei nostri musicisti più preparati, conosciuti e attivi; Max Ionata, più che nuovo talento, oramai saxtenorista di livello e Giuseppe Bassi, contrabbassista apparso veramente in ottima forma musicale. 







“Dialoghi”, suite in quattro parti, ha aperto il concerto, ed è stato subito chiaro che sarebbe andato in scena il jazz italiano che si ascolta negli arrangiamenti per orchestra (è bastato ascoltare le parti scritte della sezione fiati per capirne il clima).  Feeling da vendere, artisti tra loro diversi per esperienza e carriera eppure nessuno è apparso sentirsi "fuori clima" rispetto a tutti gli altri. 
Swing trascinante, episodi più melodici e “soft”, blues, persino fugaci citazioni di classici come “Arrivederci Roma” (che finisce sospesa sulla settima di dominante introducendo un bel solo di contrabbasso, ponte per lo swingante capitolo successivo – il che ci parla di una bella cura degli arrangiamenti).  Ma anche temi melodici orecchiabili, efficaci “stop time”, insomma tutti gli ingredienti che occorrono per un concerto jazz di quelli da intrattenimento di classe.  









Grande spazio all’improvvisazione, eseguita come si conviene a turno, scambi ogni quattro battute tra batteria e contrabbasso: e proprio durante i soli sono naturalmente emerse e caratteristiche di ognuno.  Piana ha un suo modo di suonare il trombone, elegante, senza fronzoli, lineare e morbido.  Pieranunzi ha il blues nel sangue e sotto le dita, e dimostra che il blues esiste quando esiste un bluesman, ovunque egli sia nato. Mannutza è stato come sempre trascinante e prodigo di swing. Roberto Gatto ha creato il clima giusto suonando con la disinvolta ed estemporanea creatività di chi sa cosa sta accadendo in ogni istante della perfomance. Bassi ha instaurato bei dialoghi con batteria e pianoforte e si è espresso con soli pregevoli – così come Bosso e Ionata. Franco Piana ha viaggiato nei suoi stessi arrangiamenti con delicati ed eleganti assoli di flicorno.
Il jazz è anche questo, bella musica d’intrattenimento: se l’intrattenimento sia di classe o meno dipende dai musicisti.  E in “Septet” la classe di sicuro non è mancata.  

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