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giovedì 22 novembre 2012

Bologna Jazz Festival: le meraviglie di Chick Corea (e di Brian Blade, passando per Christian McBride)

Bologna Jazz Festival
Teatro Europauditorium, ore 21.30


Chick Corea Trio

Chick Corea, pianoforte
Christian McBride, contrabbasso
Brian Blade, batteria







A Bologna Jazz Festival questo del Chick Corea Trio era l’ unico concerto in Italia: e diciamo la verità, esserci state per noi è stato importante.  Soprattutto perché abbiamo ascoltato il Jazz americano che ci ha saputo riportare alle origini del nostro amore sconfinato per questa musica ed allo stesso tempo ci ha fatto ancora una volta stupire di quanta freschezza possa essa svelare.  Perché nel Jazz a volte anche l’ improvvisazione può essere ripetitiva, basata su schemi rigidi: oppure può essere sostituita (con la scusa della libertà espressiva) con il caos di note affastellate senza senso.
Per una sera esentate  fuori dall’ oramai abusato termine “progetto” abbiamo ascoltato tre Jazzisti che per più di un’ ora hanno suonato insieme. Non sembri scontato: suonare insieme nel jazz, che è in fondo un comporre “work in progress”  e  istantaneo vuol dire ascoltarsi, guardarsi nei momenti giusti, lanciarsi idee reciprocamente e perseguire (lo si è detto molte volte) la musica. 




Un concerto bellissimo: a cominciare dalle intro pianistiche di Corea: melodiche e morbide eppure anche dolcemente dissonanti, piccoli concerti in piano solo che racchiudono già tutto il tesoro musicale che si svilupperà poco dopo.  Su queste si inseriscono di volta in volta con eleganza il contrabbasso di McBride e la batteria di Blade, uno alla volta, insieme, non importa descrivere tutto, importa il gusto, la musicalità, la assoluta mancanza di spacconerie per emergere a discapito l’ uno dell’ altro.La benefica tensione armonica può essere ottenuta con il contrabbasso suonato ad arco che tiene note lunghe ricche di dinamiche e che si interseca con la batteria che disgrega la regolarità dei battiti in mille piccoli suoni, mentre il pianoforte indugia in accordi sempre inusuali: fino a sfociare  in un accattivante “latin”.  Oppure si accenna inizialmente un tema “monkiano”  che Corea fa gradualmente emergere da un ostinato per poi partire con uno swing dei più contagiosi.  Corea ha una fantasia illimitata, ma questo si sa, eppure in ogni sua trovata ritmica, di fraseggio, o timbrica, è riconoscibile la sua inconfondibile impronta.  Non imita nessuno, non imita se stesso, ma crea come sa fare lui cose sempre nuove.





Il contrabbasso di McBride è sonoramente e stupendamente presente sempre, così come il Jazz vuole: linee di basso pulite ritmicamente e sui punti armonici cardine, con quelle tipiche “acciaccature” tra un passaggio e l’ altro che fanno swing; ostinati ritmici sul V grado quando il pezzo indugia sulla dominante.  Improvvisa volando senza mai tralasciando di presentare il tema, di espanderlo, con un suono netto e un timbro pieno anche nei pianissimo. Ha fantasia, gusto, è fondamentale spina dorsale nei momenti di insieme, i suoi soli sono trascinanti e potenti. 




Dulcis in fundo, la meraviglia, solo così la possiamo definire, della batteria di Brian Blade.  Definirlo bravissimo sembra riduttivo, perché Brian Blade è geniale, commovente, musicale con con il suo strumento quasi come fosse... un pianoforte.   Difficile spiegare come faccia, si può dire che ama i contrasti tra timbri opposti: e allora usa il suo strumento usando due elementi alla volta (ad esempio cassa e ride, e poi cassa e charleston). E la cassa quanto sa essere sommessa e leggera, se Blade decide di sfruttarne un lato sonoro quasi sconosciuto… ma improvvisamente ecco arrivare travolgenti rullate ed un’ infinità di linee ritmiche, timbriche, melodiche.  Oppure insiste ipnoticamente, a lungo su ogni elemento dello strumento, uno alla volta, facendo adagiare l’ udito su quel suono, facendo capire le infinite possibilità del rullante, o del charleston, o del piatto, tenendoti in una sorta di limbo per poi trascinarti improvvisamente in un solo acrobatico che però non è mai solo virtuosistico. 



E’ minimalista, pieno di raffinatezze che però non sono mai solo “estetiche” ma sono sempre legate a ciò che accade attorno a lui.  Sa essere sommesso all’ ennesima potenza e potente anche quanto è sommesso. Spesso ha in mano l’ atmosfera di ciò che accade sul palco.  Crea tensione e poi la rilascia al momento giusto, ascolta, carpisce e sviluppa.  Se il pianoforte di Corea diventa ostinatamente ritmico, Blade lo asseconda cedendogli il passo.  Mantiene sempre lo swing di base, quello classico, jazzistico, dell’ accento sui tempi deboli, che rimane sempre fortemente percettibile: intanto però contemporaneamente c’è “ l’altro Brian Blade” che crea sopra quello swing “di servizio” tutta un’ altra linea ritmica parallela: battiti inaspettati sul rullante, silenzi improvvisi dove mai li aspetteresti  e che dunque scoppiano come se fossero colpi secchi, vere e proprie linee melodiche sui tom. Una immaginazione incredibilmente fervida, momenti “sottovoce” intensissimi.




Potrei andare avanti all’ infinito ma qui mi fermo. W il Jazz, che potete vedere nelle foto di Daniela Crevena, che ha avuto solo meno di cinque minuti per fotografare: e che le sono bastati! D&D  














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