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lunedì 29 agosto 2011

Fabrizio Bosso Quartet a Villa Celimontana Jazz Festival


Fabrizio Bosso Quartet
 Villa Celimontana Jazz Festival, sabato 27 agosto 2011

Fabrizio Bosso, tromba e flicorno
Luca Mannutza, pianoforte
Tommaso Scannapieco, contrabbasso
Lorenzo Tucci, batteria

Di Daniela Floris - Foto Daniela Crevena

Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si…. Si provi a cantare la scala fermandosi sul Si.  C’e’ un’attesa di completamento della sequenza dei suoni che, armonicamente,  e’ uno dei cardini della musica colta.  Dico questo pero’ non per citare una nozione di armonia o acustica, ma perche’ è mia intenzione segnalare e rendere viva quella sensazione di tensione che è una caratteristica precisa del Jazz.  E’ un’attesa, un dinamismo che a parole non è semplice descrivere ma che si può provare in maniera quasi “fisica” fermandosi un attimo prima di terminare la scala. 





Ci sono concerti di Jazz in cui i musicisti riescono a creare in maniera veramente efficace questa tensione, che si può definire “swing”, ma che non si limita allo swing, perche’ è determinata da vari fattori: dialogo tra artisti, soluzioni armoniche ma anche melodiche, e di un qualcosa d’indefinibile ma molto presente, e che rende quell’ora e mezzo di musica particolarmente intensa.
E’ quello che è accaduto a Villa Celimontana con il quartetto di Fabrizio Bosso (tromba) con Luca Mannutza al pianoforte, Tommaso Scannapieco (contrabbasso) e Lorenzo Tucci (batteria). 
Cominciando da una bellissima versione di “My foolish heart”, passando per la frenetica “Black spirits”, arrivando all’ arrangiamento originale Di Blanchard per “Footprints”, e così via, tutto il quartetto, mostrando un interplay prodigioso, ha saputo creare l’ aspettativa di ciò che sta per accadere – tenendo sotto di un millimetro e ritardando sempre di un attimo la massima intensità sonora, o armonica, o ritmica, tendendo irresistibilmente ad essa e provocando in chi ascolta quella sensazione di intensità emotiva progressiva e ineluttabile: questo sia nelle cosiddette “ballad” che nei pezzi più swinganti o frenetici. 
 Ci vuole una grande (e reciproca) musicalità per ottenere questo: perche’ non si tratta di freddi artifizi strategici, ma è semplicemente una forte inclinazione istintiva (che è quella del jazzista) regolata e resa efficace, “giusta” dalla padronanza del proprio strumento, senza la quale si rischia (poiché il jazz e’ anche improvvisazione) di sfociare nel chiasso o nel “coro di voci singole”.  E’ cosi’ oltretutto che i musicisti (in questo caso il quartetto di Fabrizio Bosso) compiono un’operazione importante: quella di far sembrare uno scherzo cose complicatissime, difficili, e di renderle fluide, intense, godibili, fruibili e di volta in volta divertenti, o appassionanti, o ritmicamente coinvolgenti.  Dunque non e’ certo l’ aver scelto un brano pop (The girl is mine, di Michael Jackson e Paul Mc Cartney), o la citazione palleggiata tra tromba e pianoforte di “Roma nun fa la stupida stasera” a rendere ricco e “bello” quel brano: la citazione e’ un occhiolino, piacevolissimo, ma non determinante per la riuscita del pezzo; ne’ il pubblico si entusiasma per la salita di semitono alla tonalità superiore in  “corso d’ opera”, giochino in auge nella musica leggera per provocare un facile “tonfo al cuore”.  



Quel brano pop non piace in quanto brano “pop” conosciuto e riconoscibile ma perche’ il jazz, se ci sono dei jazzisti, si annida ovunque, e plasma qualsiasi tipo di brano: il pubblico applaude perche’ a Villa Celimontana, consapevolmente o da neofita, ha ascoltato quella bella e positiva tensione dinamica che e’ propria del Jazz. 

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